Le ballate dal mondo | Il nuovo album di Giacomo Rotatori

E’ uscito da poco Ballate dal mondo, un disco di Giacomo Rotatori che prosegue a dieci anni di distanza un percorso che partendo dalla musica popolare allarga la ricerca verso altre forme musicali; in questa ultima produzione a dialogare con il folklore tipico della fisarmonica è la musica jazz attraverso il dialogo con compositori e arrangiatori di fama nazionale.

Giacomo Rotatori è un docente della nostra scuola, abbiamo colto l’occasione dell’uscita di questo album per fargli una piccola intervista su questo nuovo lavoro.

Un album intero dedicato alle ballate, da cosa nasce questa idea e quali influenze musicali si possono trovare in questa tua ultima produzione? 

L’idea nasce a seguito di un altro disco realizzato oltre dieci anni fa dal titolo “I suoni e le danze del mondo” per dare continuità a questo percorso solistico. L’idea era quella di celebrare il decennale ma ho sforato di un anno. Nel precedente album avevo registrato brani provenienti dalla cultura russa, francese e argentina in un vero e proprio viaggio intorno al mondo. Questo nuovo album parte idealmente da un brano composto da me “Ballata sotto la quercia” un saltarello che diventa un valzer che si trasforma in un blues per concludersi come uno swing anni 50′. Questa idea di tenere insieme la musica popolare marchigiana con altri generi e altre influenze è diventata la cifra stilistica di tutto l’album che si muove su questa falsariga.

Ho iniziato una ricerca nella musica marchigiana che mi ha fatto comprendere come tale genere, per la quasi totalità, sia contraddistinto da un ritmo in 6/8. Fanno parte di questo novero i salterelli, le quadriglie, i batocchi, le pasquelle e gli stornelli; tutti generi diversi accomunati dallo stesso ritmo.

Nell’album ci sono tre tracce provenienti da questo lavoro di analisi, ricerca e arrangiamento dei brani della tradizione popolare al quale si aggiungono sei brani che mi sono stati donati da grandi musicisti che sono in primis amici e colleghi che hanno abbracciato questo progetto interpretando il mood del disco in base alla loro sensibilità a cavallo tra il mondo popolare e il jazz.

Il primo ospite al quale vorrei rendere omaggio è Simone Zanchini amico e maestro che mi ha guidato in tutto il processo creativo. Un altro importante contributo è quello di Giuseppe Ettorre primo contrabbasso de La Scala di Milano che oltre ad essere un grande musicista è anche un grande compositore. Un altro brano è stato prodotto da Bruno Tommaso, un punto di riferimento in Europa per l’arrangiamento jazz che ho raggiunto tramite un allievo storico della Scuola di Musica Bettino Padovano. Altri contributi sono stati quelli di Massimo Morganti che tutti conosciamo e che attualmente sta tenendo un corso di arrangiamento presso la nostra Scuola di Musica, Enzo Verdovi, un compositore di Pesaro e infine Roberto Gazzani compositore e polistrumentista.

La fisarmonica è uno strumento che tiene insieme musica colta e tradizione contadina, la terra e il teatro, ci racconti il tuo avvicinamento a questo strumento? 

Questa domanda rispecchia un po’ l’anima del disco che si propone di tenere assieme l’anima popolare della terra marchigiana rurale e contadina, che non va mai sottovalutata, e il mondo senza confini chiamato jazz. Il jazz per me non è solo musica ma è un linguaggio che sa nutrirsi di tutti i folklori del mondo. 

Mi sono avvicinato alla fisarmonica quando ad otto anni sono andato a vivere con i miei nonni, nei fine settimana andavo a dormire dagli altri nonni e lì c’era una zia che mi faceva giocare con una piccola fisarmonica. Vivevo una situazione complicata e la fisarmonica è stato un modo per proteggermi.

C’è un brano particolarmente significativo all’interno dell’album o al quale sei più legato? 

I brani sono tutti significativi, se ne devo scegliere uno soltanto prendo quello di mia composizione “Ballata sotto la quercia”; quando andavo a scuola di musica il giovedì a Sassoferrato ero un bambino entusiasta. Mentre andavo raccontavo a mio nonno dei brani che avrei voluto imparare e dei luoghi dove avrei voluto suonare. Mio nonno che era una persona colta, maestro elementare, alle mie richieste pressanti diceva in dialetto “Cocco de nonno io te porto d’appertutto ma arcordate che la musica è bella anche sotta na cerqua” io allora ci ridevo perché non capivo il significato di quelle parole. Nel tempo diventando professionista e approcciando il percorso per diventare tale con le sue tappe fisse come il conservatorio, lo studio del jazz, la necessità di costruirsi un mestiere facendo l’insegnante e il concertista, si viene presi da così tante cose che il rischio è quello di scordarsi del motivo vero per cui si suona, schiacciato da una serie di doveri. Si rischia di perdere il senso del perché si fa la musica; negli ultimi anni grazie ad una maggiore stabilità professionale e lavorativa sono riuscito a ritrovarla quella bussola e metaforicamente quella “cerqua” che per me rappresenta la bellezza di suonare per la musica, senza ambizioni, competizioni, senza nessun orpello o doppio fine. Da questa riflessione e per omaggiare mio nonno nasce questa canzone che è una vera e propria dichiarazione poetica del mio modo nuovo di approcciarmi alla musica.

Ci racconti la copertina particolare del disco?

La copertina è stata realizzata dalla mia nipotina Esther, alla quale ho chiesto di rifare una fotografia di un mio concerto. E’ stato un bel regalo che mi ha fatto che ho poi contraccambiato da zio generoso quale sono. Un’occasione ancora una volta per legare questo disco alle radici che affondano nella terra e nutrono la vita che cresce.

 

Per ascoltare l’album:  link